La nostra società è scissa tra iper-edonismo e iper-doverismo. Si può trovare un punto di equilibrio?
C’era una volta un insieme di secoli nei quali il piacere era demonizzato. Oggi, invece, le cose sono cambiate: ciò avviene sempre quando una donna o un uomo narrano la loro capacità di divertirsi, svagarsi, godere la vita, trarre godimento dal corpo (mangiando, bevendo, giocando, viaggiando, leggendo, andando al cinema o a teatro, facendo l’amore, ecc.).
Vediamo come, procedendo per punti.
- Certo, l’edonismo – ossia la legittimazione e la concreta ricerca del piacere – può inscriversi in una cultura caratterizzata dall’egoismo che disprezza i bisogni e i diritti altrui, dal rifiuto dei limiti e delle costrizioni, dall’irresponsabilità personale e sociale, dall’immediatismo senza memoria e futuro.
- Rara ma interessante è la versione dionisiaca: eccitata, con valenze sessuali, quasi sempre di gruppo, spesso sostenuta dall’assunzione di droghe leggere e anche pesanti oltre che di superalcolici e (molte) birre. I racconti di sé, in questo caso, oscillano tra rivendicazione libertaria e autocolpevolizzazione, tra provocazione manifesta e nascondimento di tale esperienza. Come sempre, non è tanto utile giudicare ma ascoltare, al fine di favorire l’esame spontaneo – da parte della Persona – del ruolo che il perseguimento del piacere estremo ha nella sua esistenza: ruolo che ha molto a che fare con le relazioni con le ‘autorità’ (in primis quella paterna) e anche con il desiderio, magari non del tutto consapevole, di confermare o – più spesso – contraddire gli incitamenti e gli esempi sperimentati entro l’adolescenza.
- Negativo – sempre e solo ai fini di un’autorealizzazione matura – appare il rifiuto del piacere a favore del solo dovere, con disprezzo o orrore per ogni godimento, con dichiarate moralità e serietà, con un evidente mix di seriosità, costrittività, ossessione del controllo, talora cupo tradizionalismo, cattivo rapporto col proprio corpo, rigetto di ogni contatto fisico, assenza di coccole e abbracci sin dalla prima infanzia, talora mania dell’ordine e dell’igiene.
- Positiva appare essere l’impostazione ‘mista’: quella di chi non rifiuta doveri e responsabilità ma li contempera con i piaceri (spirituali, culturali, corporei, erotici, relazionali). Qui sembra prevalere la convinzione che anche quel che si deve fare può essere piacevole. Poi emerge l’idea che il far bene il proprio dovere aiuti a godersi la vita e che viceversa – dopo un bel concerto, una buona cena, una notte d’amore – la propria produttività professionale cresca e non cali. Infine, molti colgono (o han sempre saputo) che il piacere non può costituire un dovere, magari pianificato, ma implica il lasciarsi andare, l’uscire dalle costrizioni e dagli autocontrolli, talora l’improvvisare (com’è tipico del jazz e dei liberi giochi fantasiosi dei bambini e delle bambine).
- Infine, va segnalata la frequente perdita della felicità originaria: quella sperimentata nell’infanzia, presentata come l’età dell’oro della propria vita, prima che cadesse la mannaia degli imperativi dei genitori e di taluni insegnanti.