Felicità e auto-realizzazione

Sono due aspetti del vivere interconnessi ma forse è utile esaminare un po’ quali sono le caratteristiche delle donne e degli uomini che si dicono ricchi di gioia del vivere.

C’era una volta un tempo in cui si definiva la felicità. Da allora molta acqua è passata sotto ai ponti, tanto che la tendenza odierna – almeno degli studiosi e degli operatori più seri – è quella di chiedere agli interessati se sono felici, quanto e perché.

Viene da chiedersi: qual è il rapporto tra felicità e capacità di auto-individuarsi? Un punto è indubbio: la relazione risulta bi-univoca, nel senso che gli individui che si narrano felici sono avvantaggiati nell’auto-realizzarsi; viceversa, quelli che giungono a una piena consonanza con sé stessi hanno molte probabilità di definirsi assai soddisfatti della loro vita.

In generale, il percorso mirato alla ricerca della propria armonia interiore appare meno arduo per le Persone che, nei racconti di sé…

  • credono che la felicità possa esistere per gli umani (taluni lo negano perché, secondo loro, essa appartiene solo all’Aldilà oppure perché il mondo odierno è troppo ingiusto o violento o disumanizzato o a rischio di sopravvivenza)
  • ritengono che essa non sia inutile, inessenziale, vana
  • hanno avuto un’infanzia gioiosa, creativa, piena d’amore e di fiducia
  • hanno già sperimentato periodi felici, più o meno lunghi
  • hanno goduto della felicità senza averla cercata, ma avendola poi accolta con gioia e in modo concavo
  • non la riducono alla pace dopo la tempesta, alla sola fine di dolori e tragedie, alla mera assenza dell’infelicità
  • non la confondono col piacere, coi piaceri, coi divertimenti, coi consumi, con le mode
  • la riferiscono anche alla bellezza (del cosmo, della natura, dell’umanità, dell’arte, della musica, delle culture, del corpo, dei sentimenti)
  • legano la felicità alla maturità, talora a un buon invecchiamento, alla lunga esperienza del vivere, alla resilienza alle ferite e ai drammi, al contenimento delle aspettative, all’accettazione dei limiti propri e altrui, all’equilibrio esistenziale
  • all’opposto, la connettono alla gioventù dello spirito: cioè alla capacità – a qualunque età – di entusiasmarsi e di farsi travolgere dalle passioni (e spesso dall’amore); al lasciarsi andare, mollando ancore e controlli; al coltivare sogni e progetti
  • la reputano non solo individuale, personale, ma da sperimentare con altri, condivisa, a volte virale, spesso fondata su valori comuni e sull’impegno non solitario (per raggiungere un obiettivo, ottenere risultati d’interesse collettivo, cambiare le cose o il mondo)
  • la vivono come intima, talora segreta: comunque in genere non affermata o gridata pubblicamente
  • la considerano non permanente e non garantita per sempre:  piuttosto altalenante, incerta, frequentemente da sognare e magari da riconquistare se perduta 
  • la identificano con momenti di intensa euforia e non di pace serena, di gioia acuta e non di pacata soddisfazione: dunque, eccezionale più che ordinaria (a volte legata a esperienze di piccole ‘peak experiences’ – studiate da Abraham Maslow – di tipo spirituale, mistico, intellettuale, estetico, relazionale, sessuale)
  • vengono reputati dai conoscenti quali persone brave nel dare gioia e distribuire felicità agli altri
  • soprattutto, sanno cercare e trovare anche nelle pieghe dell’esistenza, nelle strie del marmo d’ogni giorno, nelle gocce di felicità reperibili quasi ovunque: quando sappiamo vederle (cioè se il nostro sguardo è fresco, aperto, fantasioso, accogliente, infantile, non obnubilato da pregiudizi e da stereotipi).

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