Un tempo (ricordate?) per indicare chi portava un grande peso si evocava Atlante, che teneva sulla schiena l’intero Pianeta. Oggi si può ricorrere a questa figura di atleta con un elefante sopra di sé: una specie di (impossibile?) gioco circense, sempre indicante un immane gravame.
Entrambe le immagini valgono oggi per molte donne e molti uomini, schiacciati dalla fatica di vivere e dal temer di morire: per di più essendo sostanzialmente soli.
Tante Persone che seguono i percorsi di Sòno riportano tale fardello, spesso somma di una gran varietà di piccoli carichi quotidiani.
Come ce la fanno a sopportare tutto ciò? Alcuni vantano una forte resilienza. Altri parlano di un ‘pondus’ non più sostenibile, che non reggeranno oltre. Poi ci sono quelli che hanno preso a odiare la vita (crescono, infatti, le ipotesi di suicidio). Altri ancora scelgono la via della coforìa, ossia del condividere con altri l’immenso peso (me ne sono occupato recentemente in questo blog).
A tutti proponiamo di considerare quanto della montagna che ci stritola derivi in realtà da una nostra scelta e corrisponda ai nostri bisogni. Il capire che spesso siamo complici attivi dell’elefante aiuta a sentirne meno le tonnellate, per così dire a smagrirlo; oppure a sottrarci, qualora il tutto derivi da una condizione di schiavitù, frequentemente collettiva, contro la quale si deve battersi.
Credits: Fabien Mrelle