L’ultimo libro di Gianrico Carofiglio non è solo un bel ‘giallo’ giudiziario (col ritorno del mitico avvocato Gualtieri) ma contiene anche – come sempre – alcune riflessioni filosofiche non banali. Eccone una.
“Il poeta inglese John Keats la chiamava ‘capacità negativa’. Per lui era la dote fondamentale dell’uomo in grado di conseguire risultati autentici, di risolvere davvero i problemi. Keats chiamò ‘negativa’ questa capacità per contrapporla all’atteggiamento di chi affronta i problemi alla ricerca di soluzioni immediate, nel tentativo di piegare la realtà al proprio bisogno di certezze.
Cercare subito un’interpretazione univoca da cui far discendere una soluzione immediata e rassicurante è, nella maggior parte dei casi, un comportamento automatico e, in definitiva, un espediente per sottrarsi al dovere di pensare.
Al contrario, per Keats, accettando l’incertezza, l’errore, il dubbio è possibile osservare più in profondità, cogliere le sfumature e i dettagli, porre nuove domande, anche paradossali e dunque allargare i confini della conoscenza e della consapevolezza.
Mio nonno era un professore di filosofia. Quando ero piccolo mi diceva spesso una frase (non so se fosse sua o se si trattasse di una citazione, e non ho mai voluto controllare) che ho capito davvero solo quando lui non c’era più da molto tempo. Suonava più o meno così: in ogni attività, in ogni lavoro, è salutare di tanto in tanto mettere un punto interrogativo ad affermazioni che abbiamo sempre dato per scontate.”
(Gianrico Carofiglio, ‘La misura del tempo’, Einaudi 2019)